venerdì 13 dicembre 2019

#30 LA SCIENZA E LA TECNICA DELLA COSA


In  fisica, il battocchio può essere considerato una macchina semplice, una leva del terzo genere, dato che la forza per sollevarlo viene applicata sul corpo e quindi tra il fulcro (lo snodo) ed il punto dove si considera applicata la forza resistente (la testa).

La chimica entra nei materiali di cui può essere costituito il battocchio. In genere è realizzato con una lega metallica come:
  • bronzo (il solvente è rame, il soluto è stagno al 10%). In particolare la percentuale di rame  caratterizza la sfumatura di colore risultante e può essere quindi variata a fini estetici;
  •  ottone (il solvente è rame, il soluto è zinco  < 50%);
  • ghisa, acciaio (il solvente è ferro, il soluto è carbonio). Dato che il ferro puro è solo l’elemento Fe normalmente si parla di acciaio (se la % in peso di C è < 2.11%) o di ghisa (se la % in peso di C è <6.67%); un ulteriore approfondimento in questo blog. 
Lo stagno come tale non esiste in natura, il rame si, in piccolissime pepite, ma certo non nelle quantità necessarie per realizzare i manufatti prodotti ad es. nell’età del bronzo. Probabilmente quindi lo stagno veniva reperito dalla “calcopirite”, un solfuro di rame e ferro (CuFeS2) e lo stagno da un ossido, la “cassiterite” (SnO2). A temperature intorno agli 800 0C si forma un fluido che solidificando diventa bronzo metallico.
Fonte: minerali.

Il ferro più puro attualmente disponibile ha 4 o 5 N (N sta per 9, ad es. 5N  è 99,999 %) ed è  utilizzato in ricerca e laboratorio. La produzione di Fe così puro richiede tecniche di tipo elettrochimico. Per applicazioni più comuni c’è il FeARMCO (Fe al 99,85 %), prodotto inizialmente nel 1909 dalla American Rolling Mill Company.

Nell’antichità si riusciva a produrre ferro più puro, in modo probabilmente inconsapevole, anche prima del 1300 a.C. (inizio età del ferro). Oggetti databili a prima del 2000 a.C. hanno mostrato una composizione in lega di ferro e nichel, con tracce di cobalto, iridio ed altri metalli. Una lega definita con microstruttura “Widmanstätten” (dal nome del chimico scopritore) che caratterizza un “ferro meteoritico”, arrivato a noi dalle meteoriti, che contengono anche dal 4 a più del 16 % di nichel. E` interessante notare come il termine  “siderurgia” derivi dal nome greco del ferro che è “σιδεροσ” (sideros).


Fonte: meteoriti.
Per avere ferro dai minerali naturali si arriva al 1300 a.C., con gli Hittiti (cfr. i materiali in questo blog), poi seguirono gli egiziani. Servivano temperature più alte di quelle necessarie alla produzione del bronzo e quindi si utilizzava un opportuno combustibile come il “carbone di legna” (forse già usato dagli Hittiti) e gli egiziani introdussero l’uso dei mantici. 

Fonte: mantice.

Gli etruschi, esperti nel settore, insegnarono la tecnica ai romani ed in particolare usavano mantici realizzati con pelli di pecora: due mantici a focolare, sistema poi perfezionato con il “mantice a leva”, in particolare nei paesi del nord Europa.

Per comprendere a fondo la chimica dei processi servirà arrivare alla “termochimica metallurgica” (i.e. ad Harold Ellingham ed ai suoi diagrammi del 1944) per capire il ruolo degli ossidi degli elementi chimici e la loro riduzione.

Per le tecniche applicate nella lavorazione del ferro si rimanda all’approfondimento scritto in questo blog. Lo sviluppo tecnologico ha avuto un forte impatto in questo settore. Infatti, per la lavorazione del ferro la procedura è complessa, servono ossidi di Fe, un riducente, il monossido di C (CO) e temperature molto più elevate. Il passaggio dalla ghisa all’acciaio ha rappresentato quindi una grande impresa.

Concettualmente se  il C è il riducente, togliendo ossigeno agli ossidi si ottiene la ghisa; se l’ossigeno viene utilizzato per “bruciare “ il C in eccesso, si trasforma la ghisa in acciaio. Benjamin Huntsman è colui che ha utilizzato gli ossidi di ferro a questo scopo. Il processo Huntsman era piuttosto lungo ed a basso rendimento, ma rimase per qualche decennio l’unico applicato. Si passò al “puddellaggio” (da: to puddle = rimescolare) grazie all’invenzione del forno a riverbero attribuita a Henry Cort (brevetto del 1784). Con il puddellaggio insieme alla ghisa liquida venivano usate scorie e prodotti arrugginiti (ossidati). La reazione con l’ossigeno elimina il  C dalla ghisa con combustione dell’ossido di carbonio CO a diossido di carbonio CO2. Con l’eliminazione del C aumenta la temperatura di fusione, il bagno diventa meno fluido e serve puddellare (rimescolare), per permettere alle reazioni chimiche di avvenire. Il prodotto finale è un acciaio.

L’evoluzione storica successiva con lo sviluppo della siderurgia, è molto affascinante, ma articolata e complessa. Per approfondimenti è interessante ad es. il link ghisa-acciaio.

Bibliografia:  W. Nicodemi e C. Mapelli, Archeometallurgia, 2009, Milano: Ed. AIM.
 



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